Home » La Parola “Madre”
Cast
- Autori e Regia: Luigi Imperato e Silvana Pirone
- Costumi: Francesca Balzano
- Disegno Luci: Paco Summonte
- Attrezzeria: Monica Cagliola e Stefano D’Agostino
Interpreti
- Fedele Canonico
- Domenico Santo
- Salvatore Venuso
Sinossi
Libero tradimento da “Emma B. vedova Giocasta” di Alberto Savinio
Una notte dopo quindici anni di assenza, Emma B. incontrerà suo figlio. E’ una notte di attesa, ma anche di festa. Savinio immagina la sua protagonista sola in scena, in un monologo allucinato; noi le affianchiamo due personaggi che insieme a lei danno vita ad una danza dell’attesa e nello stesso tempo si fanno narratori-testimoni di un segreto profondo e impronunciabile: l’incesto compiuto dalla protagonista con suo figlio per sottrarlo ad una ispezione nazista. La condanna dell’incesto resta sulla soglia dell’ambiguità: Emma infatti è madre, ma sembra riconoscere nel figlio il suo uomo, o ancora meglio il suo complemento, l’essere umano da lei generato e che può renderle il sesso mai posseduto, e la libertà legata all’essere maschio.
Delusa da una prima figlia perché femmina e condannata a passare da un padrone all’altro (padre, madre, marito), sembra pronta a voler portare a se definitivamente quel figlio, il quale ha per troppo tempo cercato in altre donne la felicità e fatto fatica a “pronunciare la parola madre fuori da certi significati”.
Note di regia
Il nostro allestimento esplora questo mondo materno attraverso tre uomini che recitano donne. La negazione del ruolo della femminilità viene pronunciato da voci maschili che tentano di invertire il proprio sesso.
Emma sembra fare i conti con una realtà desolante che non accoglie le sue urla soffocate in sospiri, e cerca di sfuggirne attraverso quello che ritiene il suo atto più potente: la messa al mondo di un uomo, maschio. La realtà di questo uomo e di quello che per lei ha significato e significa (compreso il peccato come affermazione) sembra in ogni momento labile e prossima più ad un fantasma che ad una persona. Il suo mondo pare una messa in scena rituale dell’attesa materna al fine di evadere da una mortifera solitudine.
Galleria Fotografica
Premi & Riconoscimenti
- 2007: premio Nuove sensibilità, menzione e borsa di produzione per lo spettacolo La parola “madre” (produzione Vesuvioteatro) assegnato da Nuovo Teatro Nuovo di Napoli e Teatro Pubblico Campano in collaborazione con Teatro dei Filodrammatici di Milano, Amat, Teatro Stabile delle Marche, Teatro Pubblico Pugliese, Festival internazionale Castel dei mondi, Teatro di Sardegna, e con il sostegno dell’ETI (Ente teatrale Italiano).
Tradire è forse nella tradizione, ma il tradimento non è di tutto riposo.
Ho dovuto compiere un grande sforzo per tradire i miei amici: in fondo c’era la ricompensa
Jean Genet
Prima della PRIMA di Antonella Russoniello
IL DIBATTITO dopo lo spettacolo
Recensioni
Inconscio di una madre messo a nudo in un interno: denudato e narrato sfruttando al meglio le molteplici possibilità offerte dalla mimesi teatrale. Questo è La parola ‘Madre’, libero dichiarato tradimento dall’atto unico Emma B. vedova Giocasta di Alberto Savinio, messo in scena con felice congegno dalla compagnia “Teatro di Legno”.
Brucia, nel fuoco che riverbera in un bacile, una lettera che preannuncia un ritorno; a torso nudo, nella penombra, tre persone attorno ad un tavolo, danno cominciamento alla mimesi rivestendosi. E travestendosi: sono uomini in vesti di donna. Anzi in veste – unica – di donna, visto che identica è la mise, medesimo è il personaggio che incarnano: corpo di madre fasciato d’amaranto in un cupo ambiente che pare muffito da un tempo defluito senza essere vissuto. Come fluisce il tempo vano di un’attesa che scolora in solitudine. Emma è anima inquieta di donna dalle cui membra è defluito il colore, ad ingrigirla è psicosi materna ambigua e morbosa, che la fa nevrotica nel dire e nel gestire e che la proietta verso un figlio vagheggiato in un possesso che travalica l’essenza della “parola ‘Madre’”, oltrepassando la sdrucciolevole linea di confine di un Edipo inconsulto.
L’attesa e la ripetizione, l’uno e il molteplice: si attende il ritorno a casa di un figlio, Millo, che da parte sua ha sempre cercato il riprodursi e il replicarsi della figura materna in donne più grandi. Ad attenderlo una madre replicata in triplice copia, giacché un corpo solo non basta a raccontare tormenti e conflitti che s’agitano in ventre materno. Moltiplicati sono i quadretti, quasi icone votive, che la donna replicata in tre appende nella stanza: rappresentano tutte il figlio. La triplicazione scenica, per giunta en travesti, di Emma ne connota la figura moltiplicandone le nevrosi, dettagliandone l’indole; un’indole che non può esser repressa e accantonata in un armadio come un abito vecchio e sdrucito, ma che anzi vuol venir fuori e raccontarsi. La parola ‘Madre’ è appunto questo: esibizione (teatrale) di un inconscio che si palesa e si dà, sfaccettandosi in un trittico di cui ogni singola parte riconduce all’unità. Ed è unità ambigua, che rivela solo parzialmente, per ammicchi ed allusioni, il torbido che sottende ad un legame madre-figlio irrisolto: un ricordo che affiora sgranato dal tempo della guerra, un atto di devozione materna – per salvar la vita al figlio sacrificando il proprio pudore – narrato come prodromo di un presumibile incesto, appena evocato, soltanto sfumato, forse vissuto e consumato, senz’altro introiettato come (in)conscia proiezione.
La mimesi del teatro interviene – ottimamente orchestrata da una regia intelligente – giocando sulle immagini del travestimento e dell’evocazione, alleggerendo col brio efficace e mai eccessivo degli attori in scena, il rappresentarsi di un tema di per sé scabroso e che invece si vena di ironia quando non addirittura di comicità farsesca, segnatamente nella scena in cui le tre madri (che poi sono una) giocano a carte creando un effetto nonsense particolarmente ridanciano.
Temi musicali di raffinata suggestione contrappuntano il fluire scenico: si va da Beethoven a René Aubry, passando per Rossini e per il tema musicale dello storico Pinocchio televisivo (d’altronde, è di scena “Teatro di legno”!), firmato Comencini, musicato da Fiorenzo Carpi.
La parola ‘Madre’ è messinscena che contempera e dimidia con acume dramma e ironia, gioca molto bene con gli strumenti a propria disposizione, padroneggiandoli senza abusarne.
Mimesi teatrale, commedia scabra dal tono leggero (ma non fatuo) che racconta dell’attesa e del molteplice.
L’applauso convinto, onesta ricompensa.
A cura di: Michele Di Donato
www.ilpickwick.it