Home » Amleto o il gioco del suo teatro
Cast
- Autore: William Shakespeare (libero adattamento di “Amleto”)
- Drammaturgia collettiva/progetto, adattamento e Regia: Giovanni Meola
- Costumi: Marina Mango
- Assistente Regia: Chiara Vitiello
- Produzione: Virus Teatrali
Interpreti
- Solene Bresciani
- Vincenzo Coppola
- Sara Missaglia
Sinossi
Note sul progetto
Primo progetto shakespeariano di Virus Teatrali, primo incontro con il drammaturgo più totale, rappresentato, affrontato e tradito del mondo.
Drammaturgia collettiva basata su un lavoro di frammentazione e ricomposizione del testo shakesperiano, con tre soli interpreti (più un microfono a filo e relativa cassa di amplificazione) ad interpretare tutti i personaggi di questa intricata vicenda di tradimenti, rivelazioni, strategie e sentimenti negati o compressi.
Dopo Cechov (‘TRE. Le Sorelle Prozorov’, libero adattamento da ‘Tre Sorelle’), Shakespeare: la compagnia prosegue il suo cammino attraverso i classici del teatro di sempre utilizzando una scrittura scenica a forte impatto fisico ed emotivo, ma non privo di ironia e grottesco.
In epoca elisabettiana era vietato alle donne l’andare in scena, ma sulla scia di fior di esempi (un famosissimo Amleto del 1899 con la divina Sarah Bernhardt ad interpretare il principe danese), Virus Teatrali propone una compagnia a predominanza femminile per ribaltare e shakerare il gioco scenico plurisecolare che questo testo rappresenta per tutti i teatranti da più di quattro secoli a questa parte.
‘Amleto (o Il Gioco del suo Teatro)’ prova a percorrere il sentiero di un Amleto del cui suo dramma sarà lui stesso drammaturgo, regista e interprete: non è Amleto che scrive e indica cosa (e come) rappresentare ai Comici che arrivano a corte nel momento giusto in cui lui ha bisogno di una prova inconfutabile ed inoppugnabile di tradimento e colpevolezza dello zio-re Claudio?
Ed ecco che, magicamente, il teatro arriva in soccorso.
Come spesso accade, il teatro arriva in soccorso anche se costantemente sminuito, svilito, impoverito.
IL TRAILER
Recensioni
“Mi accingo a scrivere di ‘Amleto (o Il Gioco del Suo Teatro)’ con ancora nelle orecchie il suono del lungo applauso con cui gli spettatori hanno manifestato il proprio gradimento. Ero tra loro a godermi la bravura di un artista colto. Meola è in grado di distruggere, dissacrando e, al contempo, utilizzando linguaggi affatto diversi, ricomporre in chiave moderna l’emotività della stessa opera dissacrata. Solo chi ha sedimentato le nozioni, trasformandole in cultura, è capace di fare ciò che ha fatto il regista. Ho senz’altro visto sul palcoscenico Shakespeare, ma anche i manga, anche la comicità dei cabarettisti degli anni ‘60/’70, la recitazione dei grandi mimi del secolo scorso. Non ho timore di affermare che ho scorto in questo ‘Amleto’ la stessa capacità di creare un’opera originale e ben riuscita da un classico ingombrante, come il dramma di Shakespeare, di Ian Mc Ewan col suo ‘Nel Guscio’. A vantaggio del nostro regista c’è però la capacità di dissacrare pur mantenendo, con evidente minimalismo, la stessa ambientazione.”
(Proscenio | G. di Biase)
“Una rivisitazione che è anche tanto altro, un punto di vista che abbraccia un classico e ne fa una nuova visione, un nuovo concetto di adattamento.
Una messa in scena ai limiti del pop, in senso buono, un vortice surreale in cui teatro, metateatro e tanto altro si mescolano in una incredibile contesa tra pensiero ed azione, apparire o restare nell’ombra, dare un senso al proprio percorso oppure lasciarsi colpire dagli eventi. La bravura degli attori in scena è smisurata. Il punto di vista, la regia di Giovanni Meola, che cura anche l’adattamento del testo, può apparire ai limiti del contorto, solo se non si considera un fattore, la volontà di mettere seriamente in scena Shakespeare, riadattare quel vuoto, ricontestualizzare quel disagio, quegli eventi. Ricollocare, per quanto possibile con immagini, suoni, parole, una storia incastrata in un passato che ritorna ad ogni scontro umano, ad ogni dramma, ad ogni storia d’amore. Un punto, una parola, uno sguardo.
Meola ipnotizza il pubblico con un approccio rapido ma al tempo stesso intenso. Gli applausi finali fanno il resto. Il teatro è le sue mille sfaccettature, classico, contemporaneo, sperimentale, tutto in uno, uno in tutto. Il teatro.”
(Controscena | P. Marsico)
“Ancora una volta, la compagnia Virus Teatrali ha centrato l’obiettivo. Essere o non essere? Gli attori escono di scena ripetendo, come in una litania, il noto dubbio amletico fino a svanire in un sussurro di voci. Poi, calano le luci. Un attimo di silenzio e il pubblico esplode in un’ovazione, che saluta con calore l’intelligente adattamento dell’opera più nota di Shakespeare. Lo spettacolo firmato dalla regia di Meola è frutto di un lavoro di sintesi e sperimentazione, sapientemente coordinato. Pennellate di ironia si alternano al dramma esistenziale di Amleto, interpretato da una straordinaria Sara Missaglia, che con la sua espressività restituisce al pubblico tutta la complessità psicologica del personaggio.”
(Il Mondo di Suk | D. Maffione)
“Non mancante di guizzi di comicità più o meno marcati, specialmente quando Amleto si rapporta con i teatranti che lo aiuteranno a smascherare l’assassinio di suo padre, la rappresentazione convince su tutti i fronti, restituendo a chi la guarda quel sentimento tutto teatrale della condivisione degli attimi che lì per lì si allungano quel tanto che basta a farli divenire anch’essi immortali, come quelli da cui si è partiti. ‘AMLETO (o il Gioco del Suo Teatro)’ è da vedere assolutamente, non foss’altro che per comprendere ancora una volta che la modernità non è fine a se stessa e quando riesce a calarsi nel mito in punta di piedi, ma credendoci, ristabilisce l’ordine cosmico temporale che di generazione in generazione continua a creare bellezza e cultura e nulla ha da invidiare a chi nel mito già soggiorna da millenni.”
(In Platea | M. Addesso)
“Un teatro fluido e in continuo movimento, dove bastano solo tre attori per ricreare ‘lo specchio della natura umana’ alla ricerca della verità. È la grandezza dell’arte di Shakespeare che incontro l’anima innovatrice di Giovanni Meola. Toccando gli strati più profondi dell’anima, fatti di luci e ombre, l’adattamento riscopre l’immortalità del Bardo, autore calato nel suo tempo ma che dallo stesso prescinde, sollevando tematiche di grande attualità legate alla fragilità umana del passato che resta presente.”
(Il Roma | S. Sodano)
“Lo spettacolo è allegorico e capace di aprire continui varchi, se non squarci, sulla nostra realtà. Rivolgendo lo sguardo alla magia della sala, alle luci della ribalta, sono solo tre gli attori che scambiano continuamente i ruoli: Amleto è quasi sempre donna, ma Amleto spesso è anche Ofelia, e Ofelia è anche suo padre Polonio e così via. Sintesi perfetta dell’opera in quanto a rendimento. La diegesi e i dialoghi seguono un criterio messo a punto per conferire tutta la dinamicità necessaria ad uno spettacolo senza centro, senza ruoli prefissati ed è il solo passaggio da un ruolo ad un altro a coincidere con la fine di una scena e l’inizio di un’altra. Quando la tragedia raggiunge l’acme e la catastrofe, lo spettatore, oltre che svuotato al pari di Amleto è anche volutamente disorientato e rivive in questo la frenesia del mondo contemporaneo, dove siamo tutto, ma anche nessuno. Dunque, nella scena finale tra veleni e colpi di spada tutti i personaggi muoiono in un frenetico avvelenamento esistenziale.”
(Eroica Fenice | A. Forgione)
“Solo tre attori che si scambiano voci, espressioni e ruoli senza badare al genere o all’età, che portano abiti semplici e che hanno bisogno di indossare solo le loro espressioni. Sono tutti e nessuno, contemporaneamente sul palco personaggi e attori, maschere che recitano e si fanno vere, persone che giocano al gioco del ‘far finta che’. La loro performance – nuda, essenziale – rende tangibile l’inespresso, l’impossibile, l’indicibile, che in questo scambio continuo di voci e mimiche rendono reale la finzione, portando negli occhi degli spettatori la follia di Amleto e di Ofelia. Quella a cui assistiamo è una messa in scena che possiede il midollo spaventoso e divertente che ci disseta ogni volta che viviamo, ascoltiamo o leggiamo una buona storia: questo Amleto è spezzato, ab-soluto e sciolto, slegato dal suo tempo e dal nostro, è autentico e, nella sua falsità, nel tradimento della traduzione della vita in una rappresentazione, ci racconta qualcosa su di noi. Lo spettacolo è un’autentica menzogna che racconta la verità. Se volete conoscere il sapore delle ossa di Amleto e dell’anima metallica di una bella storia andate a vederlo, non ve ne pentirete.”
(La Settimana TV | S. Lazzaro)
“Meola scompone il dramma shakespeariano per poi ricomporne i frammenti in una lettura che cambia ogni volta timbro e prospettiva. La scenografia è assente e tutta la forza della tragedia shakespeariana è affidata all’intensità della recitazione dei tre attori, che ne trasmettono il pathos al di là della loro specifica caratterizzazione di genere, sgusciando fuori dalla loro pelle ed entrando, non senza qualche strappo e sussulto, in un’altra… e poi in un’altra ancora. Gli interpreti sembrano saltare fuori da un buco nero, da un sogno o da un incubo, lo stesso in cui abita il padre di Amleto, che esorta il figlio a non dimenticarlo, e a disvelare la verità, andando oltre le apparenze e sollevando il velo sull’aletheia. Gli unici oggetti scenici sono una cassa e un microfono. Attraverso questi ultimi, gli attori amplificano i loro tormenti interiori. Il loro interlocutore è Orazio, artificio narrativo utile a dar voce a un controverso dialogo interiore.
Forse la soluzione ai dubbi, una delle tante possibili, si intuisce solo alla fine ed emerge da parole frammentate e riannodate quasi a caso in una specie di scioglilingua: ‘Bisogna essere per continuare a sognare…’.
(Cultura a Colori | T. Sabatino)
“Meola rilegge il testo del bardo, continuando a rendere i classici gioco di teatro dell’oggi, punteggiato da musica e ironia. Forte emerge l’ironia nei Comici chiamati ad interpretare la ‘verità’ e forti gli inserimenti all’interno dell’azione scenica delle partiture di famosi brani di Caterina Caselli e Sergio Endrigo, come richiamo temporale. Del resto, un microfono e un amplificatore sono gli unici oggetti di scena, segni che ci fanno comprendere che si è all’interno di uno spettacolo, di un gioco di teatro, nel presente. Smontare e rimontare per dire del mistero dell’Amleto, una continua ricerca, ricerca pura, intrecciata alle improvvisazioni è stato un lavoro da artigiano, confida il regista, con l’intento anche di non mascherare mai le transizioni fra i vari piani, compresi i momenti musicali e i movimenti corporali. Uno spettacolo che possiede una coinvolgente cifra interpretativa e dialogante: lo si rivedrebbe con assoluta predisposizione, forse per comprendere ancor di più l’intricato, amletico testo, in un gioco di leggerezza al quale non si sono sottratti né il regista né gli attori, che hanno rivelato, in un piacevole incontro post-spettacolo, gli ostacoli che hanno dovuto affrontare e superare.”
(Teatro Cult News | R. Felerico)
“Sta per succedere qualcosa! Lo Sento! Altrimenti non avrebbero mai iniziato a recitare da metà, penso concentrata mentre provo ad anticipare la prossima scena: sforzo inutile. I tre attori sul palco stanno destrutturando il principe di Danimarca. Sono solo in tre ma ricoprono tutti i ruoli dei protagonisti della tragedia shakespeariana.
Secondi di sconcerto: conoscendomi, di sicuro mi perderò qualche passaggio e farò confusione fra i personaggi senza capirci più nulla, così resto tesa e attenta sulla sedia.
Invece, mi rendo conto che le ‘mutazioni’ sono semplici da seguire e accolgo in pieno l’invito del regista Giovanni Meola a distaccarsi dai ruoli maschili/femminili e dagli attori legati ai caratteri principali o secondari dei personaggi interpretati. Non ci sono ruoli predominanti e i tre attori sono credibili in ognuno dei ruoli che ricoprono.”
(Facci Un Salto | T. Montella)
“Meola segue in modo abbastanza fedele l’intreccio dell’originale, ma il testo è destrutturato in un gioco di improvvisazioni che sono state il frutto dell’inventiva creativa dei tre interpreti che, al contempo, sono state abilmente ricucite, ricomposte e rimaneggiate, con un mai ultimato labor limae, dalla mano esperta del regista.
I tre attori alternano e si scambiano i vari personaggi, arrivando tutti, chi più e chi meno, ad impersonare il protagonista. La Missaglia dimostra la sua migliore versatilità proprio nel ruolo maschile del protagonista, di cui riesce a scandagliare gli aspetti contraddittori e non, muovendosi sulla scena con infaticabile energia fisica e marcando il rilievo oltreché delle parole anche dell’atto fisico e corporeo. Le doti attoriali di Vincenzo Coppola spiccano soprattutto nel personaggio di Laerte, che si sforza di distogliere la sorella Ofelia dall’interesse verso Amleto mettendola più volte in guardia, e che, nel duello finale, arriva ad assurgere al ruolo di vero e proprio deuteragonista. Solene Bresciani, pur in piccola parte penalizzata dall’inflessione linguistica francofona, è molto brava a portare in scena la follia di Ofelia, dando risalto pieno, anch’ella, all’espressione non verbale. Scene più leggere allentano la tensione, contribuendo tuttavia a mantenere sempre vigile l’attenzione dello spettatore che, nei 75 minuti dello spettacolo, pur conoscendo la storia, non dà nulla per scontato e attende con ansia lo scioglimento della vicenda.”
(Street News | M. Longobardo)
“Più che del marcio, c’è del gioco in Danimarca: un gioco di scomposizione e ricomposizione che appare estemporaneo, ma che invece sottende un processo creativo lungo ed elaborato, nonché una precisione coreografata con sapiente ironia. Frutto di un lungo lavoro, questa drammaturgia ha visto finalmente la luce in scena e ha ritrovato il calore del pubblico in sala, rimasto ad ascoltare gli attori anche dopo l’ultima rappresentazione. L’Amleto che prende qui, talvolta, le sembianze di uomo e donna è egli stesso regista, autore, drammaturgo, e non un semplice appassionato e cultore di teatro, cogliendo al balzo l’occasione della compagnia teatrale a corte per smascherare il Re zio usurpatore, esempio di metateatro per eccellenza, di ‘play within the play’. E se nel ‘600 alle donne era vietato recitare, qui ormai assistiamo a un capovolgimento di genere, con una netta predominanza femminile nel terzetto di attori e un Amleto interpretato per molte più battute da una donna. Sono poi così tanti i misteri, i passaggi oscuri e le cose non dette in questo capolavoro, che diventa inevitabile esplorarli ancora oggi, approfondirli, suggerire nuove strade e interpretazioni, ha detto il regista a margine dell’ultimo spettacolo.
E la ricerca caricaturale di Polonio, sul palco, come fosse un gattino, non fa che confermare la tesi autoriale appena espressa.”
(NT Notizie Teatrali | R. Aiello)