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Aspettando Godot (L’Occasione)

N.B. Per questo spettacolo è possibile prenotare il posto solo telefonicamente al numero 3898856273

Cast

  • Regia: Francesco Scotto
  • Tecnico luci e audio: Luca Aquino
  • Credits Musicali: Salvatore Mazza
  • Riprese: Tony Santorelli
  • Produzione: ProTeatro / Teatro 99 Posti / Clan H

Interpreti

  • Vladimiro: Salvatore Mazza
  • Estragone: Paolo Capozzo
  • Pozzo: Antonio Lippiello
  • Lucky: Maurizio Picariello
  • Ragazzo: Alberto Tortora

Sinossi

Questa messa in scena nasce dal viaggio, da più viaggi in realtà, fatti da me, Salvatore Mazza e Paolo Capozzo per partecipare ad un progetto condiviso. È una riflessione sul nostro lavoro, certo, ma credo sia anche, più in generale, una riflessione su chiunque abbia una passione e abiti ai margini di un centro produttivo, ovvero in provincia, ovvero al Sud. Più si discuteva con fervore del nostro lavoro e più mi era chiaro che Vladimiro ed Estragone eravamo noi. Da questa idea nasce la messa in scena.

Perché?
Vladimiro ed Estragone vagano in uno spazio semivuoto, che cosa aspettano?
Perché non se ne vanno? Qual è la loro condanna? La loro è una condanna?
Sono queste le domande che spesso fa a se stesso chi legge o chi vede Aspettando Godot di Samuel Beckett.

A 70 anni dalla prima rappresentazione realizzata con regia di Roger Blin, il testo di Beckett parla al nostro oggi. Gli amanti del teatro tradizionale per anni hanno giudicato il testo astruso; ai loro occhi sembrava che il testo non avesse storia, che la scrittura ridondante, reiterata, senza un inizio, un intermezzo ed una fine ben definita, non avesse senso. Oggi, dopo settant’anni (dopo che il testo è stato proclamato da una giuria di esperti del settore il miglior testo drammaturgico del novecento), nessuno sembra avere più perplessità sul valore assoluto dell’opera, sulla sua bellezza.
I personaggi di Beckett vivono nell’attesa.
La nostra messa in scena cerca di dare un senso a questa attesa. In quanti momenti della nostra giornata noi tutti viviamo sperando che la nostra vita da un momento all’altro possa cambiare? Viviamo di notizie che devono arrivare, speriamo in cambiamenti che possano migliorare la nostra quotidianità, sogniamo in ogni attimo di realizzare gli obiettivi della nostra vita. È proprio in quest’ottica Vladimiro, Estragone, Lucky e Pozzo siamo tutti noi. In tutti loro la passione coincide con la condanna che, forse morendo, poi torna ad essere passione fervida, ossessiva, nella speranza che “(…) un bel giorno cambierà“.
Lo spazio scenico, quindi, è il palco? È il Sud? È il mondo interiore di ognuno di noi?
Tutti potranno leggerci quello che vorranno rispetto alla propria sensibilità, certo è che il nostro caro Beckett questo testo sembra averlo scritto ieri, sembra averlo scritto per noi…

Buona serata
Francesco Scotto

Galleria Fotografica

Fotografie: Felice Cataldo, Alessandra Rosa e Francesco Carbone

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Rassegna stampa “A lo stesso punto però a n’ata parte”

Di seguito, raccogliamo e pubblichiamo tutti gli articoli dello spettacolo teatrale “A lo stesso punto però a n’ata parte” prodotto dal Teatro 99 Posti / Co.C.I.S.

  1. http://www.controscena.it/teatro-maschere-chiusura-speranza/
  2. https://www.eroicafenice.com/teatro/gianni-di-nardo-al-tram-a-lo-stesso-punto-pero-a-nata-parte/
  3. http://www.corrierespettacolo.it/a-lo-stesso-punto/

A lo stesso punto però a n’ata parte

Cast

  • Autore: Paolo Capozzo
  • Regia, progetto scenico, disegno luci e audio: Gianni Di Nardo
  • Assistente alla Regia: Luca Aquino
  • Costumi: AlCivico448
  • Interventi pittorici: Teresa Sarno
  • Un ringraziamento speciale per l’aiuto a Marina Parrilli
  • Produzione: Co.C.I.S. / Teatro 99 Posti

Interpreti

  • Compà Prisco: Paolo Capozzo
  • Compà Mostino: Maurizio Picariello
  • Pozzo, Puck, Nennillo, Tebaldo, Il Frate: Vito Scalia

Sinossi

Protagonisti della nostra storia sono Prisco e Mostino, due Zuorri (*) di qualche vecchio copione teatrale di cui abbiamo perso le tracce. I due si svegliano in un teatro vuoto, abbandonato, e scoprono di essere stati letteralmente dimenticati. Il teatro è stato chiuso (per la pandemia) e loro sono rimasti lì, come fantasmi dentro un cimitero. Non hanno più un attore che li interpreti, un pubblico ad applaudirli. Tutte le battute che conoscono suonano vuote, sono vecchie, non li divertono più.  La loro stessa esistenza è messa in dubbio (“Quanno si chiure lo sipario, nui simmo vivi o simmo muorti?”).

Ma, proprio quando sembra che i due stiano per arrendersi al loro destino, rinvengono un vecchio faldone polveroso, all’interno del quale sono custoditi alcuni testi teatrali a loro sconosciuti. Finalmente Prisco e Mostino hanno nuove battute da dire, nuove imprese da compiere, una nuova strada da seguire. Forse è davvero l’unica possibilità: per non morire i due dovranno essere capaci di recitare altri copioni.

Da qui prende inizio il viaggio dei nostri due Zuorri dentro le loro nuove esistenze. Essi diverranno i protagonisti di appassionanti trame e interpreti di alcune delle opere più significative del teatro mondiale (da Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, ad Aspettando Godot di Becket, a Natale in casa Cupiello di De Filippo, etc.), che però, deformate dalla incapacità e dalla inadeguatezza dei due, assumeranno colori surreali, a volte farseschi.

(*) NOTA dell’Autore: Con il termine Zuorri, fino alla metà del secolo scorso, in alta Irpinia (Montella – AV) si indicavano i contadini che coltivavano le terre dei padroni, allevavano i loro animali, raccoglievano i loro frutti, ma non possedevano nulla di quello che producevano. Zuorro era dunque sinonimo di “nullatenente”, sfruttato, povero disgraziato, eternamente affamato, spesso derubato anche della propria dignità di Uomo.

Una somiglianza sorprendente (per carattere ed assonanza) con il personaggio dello Zanni che Dario Fo ha portato sulla scena con lo spettacolo Mistero Buffo prelevandolo direttamente dalle giullarate medievali. Prisco e Mostino (già protagonisti di un precedente spettacolo: “Storie di Terra di suoni e di rumori” andato in scena per vent’anni suonati) assurgono a maschere senza tempo, anime candide. Sono archetipi di un “carattere irpino” ma, nelle nostre intenzioni, rappresentanti di tutti gli ultimi della terra. Il linguaggio che i due protagonisti usano in scena è una sorta di metadialetto, costruito adottando cadenze e sonorità provenienti da vari paesi della provincia di Avellino.

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Fotografie: Antonia Di Nardo, Alessandra Rosa e Francesco Carbone

IL TRAILER

L'INTERVISTA a cura del Teatro Tram

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Lo cunto de lo re ‘mbarzamato – an Irpinia dark tale

Cast

  • Autore e Regia: Paolo Capozzo
  • Produzione: Consorzio Teatro Irpino
  • Scenografia e Luci: Gianni Di Nardo
  • Organizzazione generale: Luigi Frasca
  • Musiche: Pietro Turco

Interpreti

  • Giullare: Paolo Capozzo
  • Regina: Angela Caterina
  • Re: Luigi Frasca
  • Segretario: Maurizio Picariello

Sinossi

“Lo cunto de lo re ‘mbarzamato” (prima produzione del neonato Consorzio Teatro Irpino) è una sorta di divertente thriller “politico” ambientato in Irpinia, che racconta di una cospirazione ordita ai danni del re, in cui gli interessi personali dei vari dignitari del regno e le “questioni di stato” si intrecciano indissolubilmente, disegnando una fitta trama di bugie e colpi di scena, da cui alla fine emergerà la verità insospettabile.

I colori del dialetto usato in scena (una sorta di gramelot irpino che Capozzo adopera spesso nei suoi testi) donano allo spettacolo i toni della favola popolare, il cinismo criminale dei suoi protagonisti conferisce alla storia un sapore noir, la condizione della nostra realtà socio-politica è lo specchio dentro cui questa vicenda si rimira … e rende comico il tutto.

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Fotografie: Antonio Colucci & Costantino Mauro

IL TRAILER

L' INTERVISTA di Antonella Russoniello

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1980, Cronaca tragicomica di un anno

Cast

  • Autore: Paolo Capozzo
  • Regia e Video: Gianni Di Nardo
  • Produzione: Co.C.I.S. / Teatro 99 Posti

Interpreti

  • Paolo Capozzo

Sinossi

Segnato da importanti avvenimenti di cronaca e di politica, il 1980 è, per me, l’anno del terremoto.

Attraverso un tragitto evoc(re)ativo, rifinito da filmati e musica di repertorio, lo spettacolo ripercorre un anno di vita di un ragazzetto di 17 anni, alle prese con i problemi fatui dello sviluppo.

Accadimenti personali e fatti di cronaca, eventi politici e cotte adolescenziali, s’intrecciano indissolubilmente, dentro il tono ironico che a volte sconfina nella farsa.

Lo stile è riconducibile al “teatro d’evocazione”, in cui l’attore non può limitarsi a raccontare ma è “costretto” a rivivere al presente fatti e personaggi del passato.

Le immagini di Avellino e del Terremoto presenti nello spettacolo sono il frutto di una ricerca scrupolosa che si è avvalsa dell’impagabile aiuto di Olivo Scibelli e Lino Sorrentini. Gli interventi video sono a cura di Gianni Di Nardo.

Galleria Fotografica

Premi & Riconoscimenti

  • Premio Teatro.org al Concorso Nazionale “I Corti della Formica” – Napoli (2008)
  • Premio Miglior Testo Teatrale Concorso Nazionale di Letteratura e Teatro “Nicola Martucci” – Valenzano (BA) (2008)
  • Premio Unicoop Tirreno come Miglior Testo al Festival internazionale di Teatro “Stella d’oro” – Allerona (TR) (2010)

IL TRAILER

Recensioni

Il palco vuoto presenta come unico segno scenografico, oltre allo sfondo su cui scorreranno foto e video, tre cubi di plexiglass che fungono da basi per un telefono grigio a disco, un mangiadischi bianco e un televisore da dodici pollici in bianco e nero. Poi parte Moscow Disco dei Telex e saltiamo indietro di trentatré anni. Un tempo che è una vita. Una vita fa. Per chi non lo sapesse, il mondo era ancora diviso in due blocchi e l’Europa presentava indicazioni come Jugoslavia, Germania Est, Urss, Cecoslovacchia, come mostrano le cartine proiettate.

Per chi non lo avesse capito, stasera è di scena l’annus horribilis (o mirabilis?) che ha segnato – prima di esso solo la fine della seconda guerra mondiale – il tempo per la gente d’Irpinia (e non solo). 1980, cronaca tragicomica di un anno è, appunto, il resoconto in prima persona di quell’anno fatto da Paolo, oggi uomo cinquantenne, allora “ragazzetto” quasi diciottenne iscritto all’ultimo anno del liceo scientifico di Avellino.
E la scuola è la dimensione da cui Paolo comincia a introdurci ai suoi ricordi, ad evocare la sua visione di allora.
Lui non fa parte dei “protagonisti”, è figlio di impiegato statale, sogna di diventare qualcuno, pensa a studiare e a passare il tempo come tutti (magari, come vorrebbero i genitori, frequentando i figli degli impiegati di banca, o dei medici e dei professori) e soprattutto cerca di soddisfare il desiderio per l’altro sesso così imprescindibile e totalizzante. Il desiderio frustrato, le avances disattese evocano locandine della commedia sexy che fu mentre i Ramones sentenziano Baby I Love You. Alle foto della città come era prima si alternano dati, cifre su come fosse allora il mondo, abitato da Reagan, da un giovane Saddam Hussein impegnato a combattere l’Iran di Khomeini, da Andreotti, Craxi e Berlinguer.
Tutto il monologo alterna agli inevitabili ricordi privati momenti pubblici, didascalie che sembrano discendere da una consapevolezza successiva ma che non appesantiscono la narrazione personale, la quale evita volutamente il tono elegiaco per adottare un registro ironico dagli elementi tragicomici. Ricorda molto Woody Allen e la celebrazione dei giorni della radio, con la goffaggine e la rivendicazione di una ostinata dignità, il Paolo di oggi che danza come una marionetta impazzita al ritmo di Coming Up di Paul McCarney e di Another One Bites the Dust dei Queen, novello David Byrne intento a correre lungo la strada del tempo che ci porta fino ad oggi, e oltre.
Sfilano le immagini della tragedia di Ustica e della strage di Bologna, sfregi indelebili sul volto della democrazia ma troppo distanti, nella loro serietà, a turbare quell’estate, la mia, trascorsa in strada e a sentire i successi del Festivalbar.
L’autunno di Paolo porta alla scoperta dell’amore più importante della sua vita, secondo solo a quello per le donne: il teatro. La domenica si prova in uno spazio improvvisato, con il palco fatto in proprio, in uno spazio che più di una cantina non è, anche quella domenica che i “Lupi” hanno battuto l’Ascoli per quattro a due, in quel pomeriggio che faceva caldo, troppo caldo per la fine di novembre, mentre nel registratore girava una cassetta degli Squallor.

Poche immagini, meglio allora le cifre di denuncia dello scempio umano, sociale ed economico del sisma: tremila morti, diecimila feriti, duecentomila senzatetto, sessantamila miliardi stanziati per l’Irpinia, di cui ventimila solo per Napoli (che pure ha subito danni, ma in misura molto minore), l’allargamento dell’intervento a 687 comuni a fronte dei 283 iniziali, la costruzione di intere aree industriali che si sono rivelate le classiche cattedrali nel deserto, forse l’ultimo grande intervento pianificato dello Stato nell’economia di mercato di un Paese occidentale.
Poi la narrazione riprende, come è ripresa la scuola dopo uno iato di almeno venti giorni di vacanze forzate, con la novità dei turni pomeridiani per assicurare una continuità didattica che arrivasse fino a giugno. Paolo non subisce lutti e la sua casa resta in piedi, come del resto è capitato alla maggioranza dei ragazzi di Avellino di riprendere le abitudini di sempre. Però qualcosa lo segna, e segna ognuno che abbia vissuto quei momenti, quei mesi, quell’anno che chiudeva il decennio precedente per aprirsi alla novità carica di aspettative di benessere di quello successivo.
Forse non è retorica affermare che gli Ottanta siano stati gli anni del disimpegno e dell’abbondanza dato che mai come nel caso del nostro Meridione terremotato la ricostruzione è stato il segno di un cambiamento urbano, economico, sociale, culturale, che ha dato l’impressione di un raggiunto benessere, pari a quello che investiva il Paese intero.
Un’impressione che si è alimentata delle speranze dell’adolescenza, dell’incontenibile desiderio di crescere e di diventare grandi, del miraggio di un cambiamento radicale: si è azzerato tutto, si ricostruisce tutto, nulla sarà più come prima! E invece… Babe, I love you so / I, I want you to know / That I’m goin’ to miss your love / The minute you walk out that door / So please don’t go, don’t go / Don’t go away…

A cura di: Antonio Cataldo
www.ilpickwick.it

Storie di Terra, di Suoni e di Rumori

Cast

  • Autore: Paolo Capozzo
  • Regia: Gianni Di Nardo
  • Produzione: Co.C.I.S. / Teatro 99 Posti

Interpreti

  • Compà Prisco: Paolo Capozzo
  • Compà Mostino: Maurizio Picariello

Sinossi

Questo spettacolo è dedicato agli ultimi della fila

Dopo secoli passati in balia di vermi e ratti, spuntando come piante dalla terra dove erano stati sotterrati, còmpa Mostino e còmpa Prisco tornano alla luce.
La terra che li aveva inghiottiti, seppellendoli sotto centinaia di anni di storia, sotto tonnellate di detriti della memoria, li partorisce di nuovo.
Proprio così, rinascono! Si affacciano di nuovo alle speranze di una vita migliore. Hanno un’altra occasione di riscatto da un’esistenza di stenti e di soprusi.
Riavvolto il nastro della propria (e della nostra) memoria, i nostri due Compari intraprendono un viaggio che ripercorre tutto il 20esimo secolo, nella speranza di un destino diverso da quello che il “fato” gli ha imposto sinora.

Improbabili soldati di guerre volute da altri, complici e vittime di catastrofi e disastri ambientali, i nostri due “candidi” eroi affrontano con disarmante ingenuità tragedie devastanti. Dalla grande guerra (1915) alla liberazione (1945), alle lotte sociali sedate nel sangue (1950), al terremoto (1980), alla crisi dei rifiuti (2003).
Ogni volta Mostino e Prisco accettano rassegnati l’ennesima sconfitta (“nui simmo sfurtunati”), con l’ingannevole illusione che gli basterà “morire e rinascere” per avere un destino diverso.

NOTE DI REGIA

L’ignoranza assolve i semplici e li rende puri? Prisco e Mostino non lo sanno e non si pongono il problema, tirano dritti. Attraverseranno l’ultimo secolo e mezzo senza peso, leggeri ed essenziali come bambini, divertiti e complici come Totò e Peppino, assurdi e poetici come Didi e Gogo. Di loro non si dirà ne’ vili ne’ eroi, ma spettatori di un’esistenza umana ciclica e surreale che canta sempre lo stesso verso palindromo ” per nascere si deve morire” .

PS: In scena viene adoperato una sorta di meta-dialetto, un gramelot irpino, in cui le parole concorrono a far passare suoni e vibrazioni, ancor prima che significati. Non sforzatevi di capire, basterà ascoltare.

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Premi & Riconoscimenti

  • Premio D.A.Vi.Mu.S. come Migliore Spettacolo e Premio Miglior Attore a Paolo Capozzo e Maurizio Picariello – Festival Nazionale “Teatro XS” Salerno (2010)
  • Premio Migliore Spettacolo al Festival “Città di Vico Equense” (2013)

IL TRAILER

Prima della PRIMA di Antonella Russoniello

Recensioni

 “La giuria tiene a sottolineare che assegnando il premio congiuntamente a due attori, interpreti dello stesso lavoro, intende privilegiare la inscindibilità della dinamica teatrale incarnata sulla scena da Paolo Capozzo e Maurizio Picariello.

Dinamica teatrale che ha le sue radici sia nella storia del teatro dialettale italiano sia di tanto nostro cinema della “commedia all’italiana”, croce e delizia della nostra identità nazionale presso altre culture. Perché la forza di questi due attori poggia tutta su un nostro paradosso irrisolto: che il dramma consista nel non riuscire a uscire dalla commedia. Si dia merito, e giusto merito, dunque, alla recitazione di questi due bravi attori, di voluta, intenzionale grana grossa, a mo’ di zanni, che asseconda i pregi e fa dimenticare i pochi limiti dell’allestimento. “

Festival Nazionale “Teatro XS” di Salerno (II Edizione), motivazioni della giuria per il premio come “Miglior Attore” a Paolo Capozzo e Maurizio Picariello per lo spettacolo Storie di Terra, di Suoni e di Rumori di Paolo Capozzo – regia di Gianni Di Nardo

Doppio Senso

Cast

  • Autore e Regia: Paolo Capozzo
  • Musiche: Pietro Turco
  • Produzione: Teatro di Gluck / Teatro 99 Posti

Interpreti

  • Pistone: Maurizio Picariello
  • Calotta: Elena Spiniello
  • Mercante, Vigile urbano, Dryfuss: Vincenzo Albano

Sinossi

Avete mai provato a fare una passeggiata tenendo gli occhi chiusi? No?!
Pensate che sia una cosa un po’ folle e che per strada gli occhi vadano tenuti bene aperti? Avete ragione!
Eppure spesso capita di vedere persone che vanno in giro senza prestare alcuna attenzione a quello che gli accade intorno, senza scorgere i segnali di pericolo, senza prendere in considerazione nessuna regola.
Più o meno è come se andassero in giro con una benda sugli occhi: non v’è nulla di più sciocco e pericoloso.
È quello che accade a Calotta e Pistone, i protagonisti della nostra storia. Essi attraversano la città percorrendo strade sconosciute, incrociando incroci, scavalcando cavalcavia, oltrepassando passaggi a livello, su e giù per dirupi, burroni, scale e dislivelli. Incontreranno Mercanti, Vigili Urbani e alla fine del loro viaggio essi si troveranno al cospetto di Dryfuss, il “Signore della strada asfaltata”, da cui impareranno le regole da rispettare per passeggiare finalmente sicuri per la città.

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Fotografie: Costantino Mauro

Recensioni

Al di là del mare

Cast

  • Autore: Paolo Capozzo
  • Regia e Produzione: Teatro ASSUD
  • Coproduzione: Teatro 99 Posti
  • Scenografia: Gianni Di Nardo
  • Macchinista: Raffaele Bianco

Interpreti

  • Maurizio Picariello
  • Micol Barbieri
  • Elena Spiniello
  • Raffaele Zenca
  • Ramona Barbieri

Sinossi

Al di là del Mare, è una storia che si svolge nell’anno 2040, anche se, a dire il vero, comincia qualche tempo prima (ad occhio e croce proprio alla fine del millennio), ed è ambientata da questa parte del mare, in uno dei tanti “Centri di accoglienza, saluti e rimpatrio” nati negli ultimi anni su questa sponda. Qui vive un popolo civile e democratico, progredito fino al punto di possedere tutto, ma costretto a vivere barricato per difendere il proprio benessere. Infatti una popolazione primitiva che vive al di là del mare minaccia l’equilibrio sociale faticosamente conquistato.
Questi esseri selvaggi sono affamati e poverissimi, disposti a tutto per sopravvivere e perciò pericolosi.
Giungono su questa sponda con mezzi di fortuna, sempre più numerosi ed agguerriti, alla ricerca di cibo e di una nuova dimora. Il popolo civile n’è terrorizzato, ma al tempo stesso è cosciente che non può restare inerte di fronte a tali attacchi.
La storia, i personaggi, la tematica, tutto sembra fin troppo chiaro e consueto, “normale”: ci sono i buoni e i cattivi, persino il finale sembra scontato, invece …
“Al di là del mare” è una favola moderna, che, in forma di divertente allegoria, racconta dei sentimenti contraddittori del mondo “evoluto” (ovvero di quella parte del pianeta Terra che comunemente è detto occidente industrializzato) nei confronti dei popoli che <>. E’ chiaramente ispirata a fatti realmente accaduti, che ancora stanno accadendo in varie parti del mondo e che, nel bene e nel male, ci vedono tutti coinvolti.
Così il mare di questa favola diventa il simbolo di una linea di confine tra noi e “gli altri”, tra bianco e nero, tra nord e sud. Il grande mare della nostra cattiva coscienza ci “difende” di volta in volta dagli “altri mondi”: extracomunitari,  terroni, barboni, zingari, etc.; un mare troppo grande anche solo per immaginare di attraversarlo. Impegnati come siamo a presidiare le nostre “ricchezze”, dimentichiamo troppo spesso che a pochi chilometri di distanza ci sono intere popolazioni che muoiono per fame, o tra gli stenti di una guerra, o più “banalmente” vittime delle torture di regimi dittatoriali.
Lo spettacolo è cantato e ballato, oltre che recitato, e coinvolge sistematicamente il giovanissimo pubblico sul sottile filo tra teatro e gioco, tra esilarante comicità e riflessione, tra il desiderio naturale di voler essere dalla parte dei buoni ed il dubbio che in realtà i “buoni” non sono quelli che pensavamo!

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L' INTERVISTA

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Tra Cielo e Terra – la natività raccontata dagli ultimi

Cast

  • Autore e Regia: Paolo Capozzo
  • Musiche: Giuseppe Relmi e Massimo Testa
  • Produzione: Consorzio Teatro Irpino

Interpreti

  • Paolo Capozzo
  • Angela Caterina
  • Giuseppe Relmi
  • Massimo Testa

Sinossi

 “Tra cielo e terra” è uno spettacolo che narra dei primi anni dell’infanzia di Gesù (dall’annunciazione dell’arcangelo Gabriele alla strage degli innocenti) attraverso un appassionato racconto vissuto con lo sguardo e la lingua degli “ultimi”, dei semplici, di coloro che, pur se testimoni della storia, non ne sono stati mai protagonisti.
Alla voce ufficiale delle scritture, quindi, si sovrappone il vociare di uomini e donne del popolo, con il loro carico di solidarietà e di miserie.
Un racconto “laico”, fatto dalla gente semplice, che di quegli episodi ne fa un ritratto molto umano, privo di sovrastrutture teologiche, eppure pregno di fede e di speranza. 

Note:

La drammaturgia di questo spettacolo colloca in Irpinia gli episodi di cui narra, noncurante degli ovvi anacronismi e della errata collocazione geografica, e racconta l’accaduto con la tecnica delle favole della tradizione orale irpina, in cui tutto veniva ricondotto ad una realtà in cui il popolino potesse riconoscersi.
Il linguaggio usato in scena è una sorta di metadialetto, un gramelot irpino, che condensa le sonorità dei diversi dialetti della provincia avellinese, a formare un linguaggio fatto di termini arcaici e neologismi che esaltano i colori del racconto.
Aderendo perfettamente allo spirito della drammaturgia, per le musiche dello spettacolo si è fatto riferimento al patrimonio musicale campano (dal ‘700 agli anni ‘90)

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Fotografie: Antonio Colucci

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