Home » Porta Chiusa
Cast
- Autore: P. Sartre
- Regia: Roberto Negri
- Assistente di Regia: Alice Mele
- Musiche originali: Gianni Saponara e Giulia Camoglio
- Luci e Fonica: Carlo D’Andreis
Interpreti
- Roberto Negri
- Lavinia Biagi
- Paola Tarantino
- Miguel Ceriani
Sinossi
Il teatro come strumento principe di comunicazione. Il testo/manifesto dell’incomunicabilità. Un soggetto attualissimo dopo 50 anni. La combinazione ideale per il progetto di una compagnia che basa la sua ricerca sulla necessità del Teatro. I forti connotati socio-politici del pensiero sartriano, trovano nella messa in scena l’occasione di superare la barriera del contingente e aprirsi ad una dimensione mitica. L’ambientazione si proietta in una zona ai limiti della realtà temporale, forse un attimo dopo il presente. La dimensione surreale della piece conferma così la sua forza evidenziando oggi ancor più l’ordinaria follia del quotidiano. Porta chiusa è una riflessione sul rapporto con gli altri: les autres è il titolo con cui il lavoro viene inizialmente pubblicato; l’autore dichiara l’inferno sono gli altri ma gli altri siamo noi. Aprire la porta chiusa dalla volontà di isolamento, è un gesto di liberazione individuale, che diventa immediatamente collettivo; l’unico gesto possibile per uscire dall’inferno della commedia sociale.
Galleria Fotografica
Premi & Riconoscimenti
[…] uno spettacolo di ottima fattura […] il pubblico ha mostrato di accogliere pienamente […] un’opera d’arte forse mai eguagliata dallo stesso autore […] Emilia Costantini Il Giornale
Segnaliamo questo spettacolo per le capacità di tutta la compagnia […] Giudizio: ottimo Redaz. Spettacolo L’Unità
Nell’essenziale spazio scenico […] gli attori si muovono con convinzione […] Sono questi gli spettacoli che riportano i giovani a teatro e il teatro a discutere Fabio Ferzetti Il Messaggero
Un atto unico ritenuto l’opera teatrale più riuscita di Sartre […] Montato molto abilmente […] L’ottima e motivata regia é ritmica, stringente […] Egidio Pani La Gazzetta del Mezzogiorno
Porta Chiusa è uno spettacolo da non perdere: […] adattato con grande capacità e senso scenico […] Gli attori, sono veramente una piacevole sorpresa. […] Mario Fazio L’altro Magazine- quotidiano online
Prima della PRIMA di Antonella Russoniello
Recensioni
“Chi è l’altro? L’inferno!”. Nella nostra smania citazionista di adolescenti che s’affacciavano al mondo dello scibile, nel nostro orgasmo di sapere voracemente sunto da ogni fonte in cui ci si imbattesse, era questa una delle frasi più ricorrenti che ci piaceva sciorinare. Era a effetto, faceva scena; e poco cale se il senso profondo che la permeava ci apparisse sostanzialmente nebuloso; lo avremmo appreso solo crescendo, allorquando la nostra formazione culturale si sarebbe adoperata ad acquisire la dimensione della profondità. La frase era desunta da Jean-Paul Sartre e la profondità di senso che si citava condensata in uno stralcio dotato di molta approssimazione e poca veridicità filologica, è tutta svolta in Porta chiusa, drammaturgia sartriana per l’occasione messa in scena dalla compagnia romana Officina Dinamo.
Un uomo in divisa, con tanto di giubba a livrea, è un maggiordomo beffardo che accompagna i personaggi su una scena su cui triangolano tre panche; sullo sfondo bronzea erma dallo sbozzato sembiante ferino, di una qualche divinità degl’Inferi, è testimonio allusivo del dove. Tre figure, un uomo e due donne, verranno progressivamente introdotte dal cerbero in divisa (o forse più un caronte senza obolo né traghetto), confermando fra gli echi sardonici dei suoi scoppi di risa che i tapini son giunti in un vano infernale, dietro una porta serrata al di qua della quale reitera angustia e costipazione una teoria di camere, corridoi, scale, a cui si congiungono altre camere, altri corridoi, altre scale; niente finestre, niente specchi, niente oggetti da rompere, nulla di nulla; solo angustia e costipazione.
Garcin è un giornalista irrequieto, Ines una lesbica dal profilo affilato e dal carattere parimenti spigoloso, Estella una giovane donna dal fascino fatuo. Tre individui concentrati in uno spazio circoscritto e senza uscita riproducono post mortem dinamiche proprie di quella vita da cui li ha strappati prematura e cruenta assenza; ciascuno di loro ha lorda la coscienza, ciascuno di loro ha un crimine, una efferatezza, un delitto da espiare. E ognuno di loro, in forme e gradazioni diverse, è attanagliato da un senso di sospesa inquietudine che veicola l’interazione, che li induce a sospettare gli uni degli altri.
La sospensione del tempo, in un luogo senza tempo, lascia insorgere il sospetto che l’attesa diuturna del boia possa far sì che ciascuno sia boia dell’altro: inferno nell’inferno, riproduzione extraterrena di dinamiche terrene, impossibilità di superare il particolarismo individuale mediante qualsivoglia forma di comunicazione ed interrelazione che possa dirsi savia, lo spazio chiuso della scena propone molecole bipedi e instabili, la cui vita s’è disgregata, che si ritrovano nello spazio chiuso della morte a riproporre il meccanismo di un domino inconsapevole giocato da inconsapevoli tessere che tentano di comporsi senza sosta, senza costrutto.
Il mondo per costoro trapassati non è ridotto soltanto a vago ricordo, ma è ancora uno spaccato su cui poter posare uno sguardo curioso e di vita ancora bramoso, ultimo retaggio ed estremo ganglio che perdura nel tenerli legati al consorzio dei vivi, delle cui vicende essi continuano ad esser visualmente spettatori, emotivamente partecipi.
La regia di Roberto Negri ricrea sulla scena la carica emozionale e la tensione psicologica che permea i personaggi, cui attori di buona levatura conferiscono dimensione e spessore. Unico limite della pièce quel sofisticato intellettualismo di fondo che presiede alla scrittura sartriana e che potrebbe in alcuni momenti appesantire la struttura drammaturgica: rischio corso, sfiorato, ma alla fine superato senza lasciar in assito trucioli di noia.
In personaggi che in ribalta ripropongono il ciclico e inane agire umano, risuona la voce d’attori che sulla medesima ribalta ripropongono il ciclico (ma non inane) copione mandato a memoria. Vano è l’affannarsi rio e perverso dell’uomo contro l’uomo; pregevole il racconto portatone in scena.
A cura di: Michele Di Donato
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