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Il Berretto a Sonagli

Cast

  • Autore: Luigi Pirandello
  • Regia: Marcello Andria
  • Scenografia: Gerardo Fiore
  • Costumi: Angela Guerra

Interpreti

  • Felice Avella
  • Leandro Cioffi
  • Nunzia D’Amico
  • Lea di Napoli
  • Anna Maria Fusco Girard
  • Angela Guerra
  • Flavia Palumbo
  • Enzo Tota

Sinossi

Non ne ricava granché, Beatrice Fiorica, a svergognare il marito per i reiterati tradimenti ed uno in particolare, quello con la moglie di Ciampa, scrivano di lui, anzi, alla fine, dovrà fingersi anche pazza per volontà di questi che, senza scrupoli, utilizza l’unico modo possibile per salvarsi dalla vergogna e ristabilire l’ordine preesistente. E così Beatrice Fiorica sarà la vittima designata, all’interno di un mondo piccolo borghese, enfatizzato da Pirandello, nel dramma ” Il berretto a sonagli”, per aver voluto infrangere la consuetudine che la vuole moglie tradita, acquiescente e silenziosa.

Beatrice, maritata Fiorica, si accorge della tresca che il marito, uomo ricco e rispettato, intrattiene con la bella Nina, moglie del suo scrivano. Istigata da Saracena, donna di pochi scrupoli e sostenuta dall’ ambiguo delegato Spanò, decide di vendicarsi. Ci riesce, i due, trovati in flagrante, vengono arrestati. Per Beatrice la vendetta è compiuta, gli amanti sono stati messi dinanzi al giudizio morale della gente e al conseguente scherno che ne deriverà per sempre. A lei, non resta che godersela, avendo affermato il diritto sacrosanto di ribellione, verso un torto palese, ma tutti madre, fratello, delegato, società e perfino la serva di casa, ritengono sconsiderato il suo atto, alla donna non è consentito farsi ragione e se lo fa deve affrontare, poi, le conseguenze. Esse, infatti, non tardano a manifestarsi, il suo legittimo desiderio dovrà fare i conti con l’onore ferito dell’altra parte offesa, il marito di Nina che, per salvare il suo buon nome, non esiterà a farla passare per pazza.

Galleria Fotografica

Premi & Riconoscimenti

  • Premio miglior attore protagonista (Enzo Tota) al VIII Festival nazionale d’arte drammatica di Imperia
  • Spettacolo vincitore della rassegna e premio migliore attrice protagonista (Flavia Palumbo) alla V Rassegna del teatro “Città di Pagani”
  • Premio Gradimento del pubblico con 9,41/10 e premio migliore attrice protagonista (Flavia Palumbo) al 23° Festival Teatrale Internazionale Castello di Gorizia

Recensioni

Un altro capolavoro interpretativo della Compagnia dell’Eclissi di Salerno, presentato al pubblico l’1 e il 2 dicembre ma che tornerà per una replica il 26 prossimo. Luigi Pirandello è di casa al Genovesi, per cui imbattersi scenicamente con “Il berretto a sonagli” è stato naturale, come consueta è stata la bravura della Compagnia Dell’Eclissi, la sola ad avere la “vis drammatica” adatta per rappresentare il genere particolare del premio Nobel 1934.

I protagonisti, ognuno nel proprio ruolo, combaciano, sicché la rappresentazione è senza sbavature e tutto ciò che si fa vedere in scena contribuisce a rendere perfetto l’affresco piccolo borghese nel quale si muovono convincenti personaggi d’altri tempi, ad iniziare da Fana (Anna Maria Fusco Girard), l’incapace ed obbediente serva, per continuare con Fifi La Bella (Leandro Cioffi), che si serve dei soldi della sorella per onorare i debiti contratti, con la Saracena (Lea di Napoli), bella e spavalda, con Nina Ciampa (Nadia D’Amico), poco più di una muta ma ardita nei fatti e con Angela Guerra, la puntuta Assunta La Bella, attenta a mantenere lo status quo della famiglia, sia pure a danno della figlia, tutte caratterizzazioni ritagliate perfette su ognuno. La sapiente regia di Marcello Andria, ha fatto il resto, precisa anche questa volta, sia nel rendere vivo il mondo pirandelliano, sia nel dirigere attori, un gruppo coeso, che sono l’eccellenza per questo tipo di rappresentazione. Spicca sullo sfondo il nitore dei costumi, sagomati bianchi da Angela Guerra, per far risaltare di più lo scuro della scena, allestita con essenzialità da Gerardo Fiore, ma anche per fare arrivare al pubblico la calura dell’estate siciliana. Tre grandi finestroni fanno entrare aria nuova al posto di quella che s’appesantisce ad ogni battuta dei serrati dialoghi tra Beatrice e Ciampa. La sensazione di caldo opprimente, sia reale che scenico, non risparmia né l’ambiguo delegato Spanò, un azzeccagarbugli teso a restare unicamente nei favori di chi conta, (Felice Avella, una certezza per le sue precise e ricordevoli caratterizzazioni) che ogni volta si deterge la fronte, appena viene a trovarsi in difficoltà, né Assunta La Bella, che agita nervosamente il ventaglio nel consigliare alla figlia la sopportazione dei tradimenti e la convenienza del silenzio.

Ed eccole le ragioni di Beatrice e di Ciampa ridotte ed adattate in un unico tempo teatrale, due attori eccezionali, di assoluta bravura, Flavia Palumbo ed Enzo Tota, l’una di fronte all’altro a sfidarsi in dialoghi serrati. Non sembra più neanche una rappresentazione ma una naturale quanto drammatica discussione, tra due che sanno essere vittime esse stesse, ma una sola l’avrà vinta con una mistificata ragione. Brava, brava, Flavia Palumbo che dà un’interpretazione di testa nella ribellione, di espressività nel dolore non rassegnato, di mutazione improvvisa tra riso e pianto, quando si accorge di essere l’ ineluttabile “agnus”del sacrificio. E Ciampa, Enzo Tota, un grande interprete, una conferma del teatro pirandelliano che non delude mai, anzi ogni volta si supera riuscendo ad emozionare e molto per la sua condizione di uomo ferito nell’onore, tanto che quasi il pubblico è d’accordo con la sua lucida ma ingiusta logica di castigare la vittima, senza risultare antipatico. Grande espressività drammatica nel gesto lento e carezzevole, Enzo l’impiega nel finale, quando appoggia sui capelli di Beatrice in lacrime, un pianto disperato, quello di Flavia Palumbo che graffia l’animo, una consolante carezza, un atto che riassume in sé pietà, consapevolezza, complicità e dolore. Vittima e carnefice resi uguali da un semplice gesto, alla mercé di un ordine sociale spietato, solo che essendo Ciampa uomo, ipocritamente, nel teatro e all’epoca di Pirandello, si salva.

Ottima la scelta musicale di Geppino Gentile che ha sottolineato con raffinatezza i momenti salienti del dramma.

A cura di: Maria Serritiello

Il Piacere dell’Onestà

Cast

  • Autore: Luigi Pirandello
  • Adattamento e Regia: Marcello Andria
  • Costumi e Regia: Angela Guerra
  • Scenografia: Compagnia dell’Eclissi
  • Selezione musicale: Geppino Gentile
  • Musiche di Scena: Franz Schubert e Georges Bizet
  • Arredi di Scena: Leopoldo Di Leo
  • Elaborazione Fotografica: Armando Cerzosimo

Interpreti

  • Fabio Colli: Raul Apicella
  • Signora Maddalena: Anna Maria Fusco Girard
  • Parroco di Santa Marta: Geppino Gentile
  • Maurizio Setti: Roberto Lombardi
  • Agata Renni: Giulia Sonetti
  • Angelo Baldovino: Enzo Tota

Sinossi

Intorno a un tavolo, fulcro al tempo stesso del microcosmo borghese e del consolidato organismo famigliare, si giocano le sorti della giovane Agata, a cui l’amore imprudente dell’avvocato Colli, a sua volta infelicemente coniugato con una donna che non lo ama, ha sottratto l’onore. A soccorrere la pericolante rispettabilità della donna e del marito adultero interviene un amico fidato, Maurizio Setti, il quale procura quel marito di comodo che potrà sposare la ragazza e dare un nome al bambino, evitando lo scandalo e il discredito sociale.

Ma è qui che l’invenzione pirandelliana con il consueto scarto creativo solleva la trama dalla convenzionalità della commedia tardottocentesca. Già, perché il prescelto, un aristocratico decaduto che nasconde un passato oscuro e inconfessabili demeriti, accetta di ricoprire il ruolo solo a patto di imporre regole intransigenti, che non lasciano alcuno spazio a sotterfugi e compromessi. Tormentato dalla vergogna di aver infangato il proprio nome, di aver disceso la scala del degrado fino al limite dell’isolamento sociale, Angelo Baldovino, provando ora un intimo, disinteressato piacere dell’onestà, costringe gli altri a seguirlo, con la logica inoppugnabile della ragione, attraverso l’impervio percorso della sua rappresentazione. Dopo aver sventato i meschini raggiri dei suoi antagonisti, tuttavia, anche Baldovino cadrà vittima all’impatto con la realtà e l’imprevedibilità dell’esistenza, quando la piena ingovernabile dei sentimenti avrà la meglio sulla razionalità astratta, quando la vita, che si era preclusa, prenderà il sopravvento sulla pur gratificante finzione. Recupererà così, quasi a tempo scaduto, la sua dignità di uomo accanto alla donna che ha sposato solo per ossequio alla norma ipocrita e perbenista. Amicizia, e tenerezza, e stima, se non vero e proprio amore, sono ora in grado di sottrarlo all’avvilente solitudine in cui era precipitato, reintegrandolo in un nucleo di affetti. Un finale non del tutto inatteso, che si preannuncia in fondo fin dal primo, obliquo incontro fra i due, quando Agata, nascosta da un paravento, scruta e forse già sceglieBaldovino, apprezzandone la profonda e più autentica moralità. Anch’ella, del resto, distaccandosi dalle regole di un mondo che avverte man mano più estraneo, intraprende un cammino, tutto femminile, che da amante la trasforma prima in madre, poi in moglie.

L’adattamento del testo ha mirato all’essenzializzazione della vicenda e del dettato pirandelliano – scontornati e come relegati in uno spazio allusivo e appena definito – serrando la trama in tre movimenti scanditi dal buio tecnico; e individuando sul fondo della scena un luogo appartato, velato da un diaframma, dove i personaggi si incontrano, riflettono, osservano, quasi sospesi per qualche attimo dalla necessità dell’azione.

Scritta espressamente per le raffinate qualità espressive di Ruggero Ruggeri, che la rappresentò a più riprese, Il piacere dell’onestà debuttò con successo al Teatro Carignano di Torino il 27 novembre 1917, con Vera Vergani nella parte di Agata. A riproporla sulle scene italiane nel secondo dopoguerra furono Luigi Cimara, Salvo Randone (che ne fu per anni memorabile interprete), Alberto Lionello, Gianrico Tedeschi, Ugo Pagliai, Giuseppe Pambieri e, da ultimo, Leo Gullotta. (M. A.)

Galleria Fotografica

Premi & Riconoscimenti

  • 19° Festival Internazionale “Castello di Gorizia 2009” dove ha vinto i Premi assegnati al
    1) Migliore Attore Protagonista (Enzo Tota)
    2) alla Migliore Attrice non Protagonista (Anna MariaFusco Girard) e
    3) il secondo posto assoluto sia nel Giudizio della Giuria che in quello del Pubblico.

  • 41° Festival Macerata Teatro 2009 dove ha vinto
    1) il Premio del Pubblico.

  • 29° “Sipario d’oro 2010” di Rovereto dove
    1) ha vinto il Festival,
    2) il Gradimento del Pubblico,
    3) la Regia (Marcello Andria) e
    4) il migliore attore non protagonista (Roberto Lombardi).
    Nomination per l’attore protagonista (Enzo Tota).

  • 10° Festival “Grifo d’Argento 2010” di Acquaviva di Montepulciano – Teatro dei Concordi
    1) ha vinto il Festival,
    2) l’Allestimento,
    3) la regia (Marcello Andria),
    4) il Migliore Attore Protagonista (Enzo Tota),
    5) il Migliore Attore non Protagonista (Roberto Lombardi).

  • Il Mascherone – Si alzi il sipario di Bolzano 2010 dove
    1) ha vinto il Festival e
    2) il migliore attore   protagonista (Enzo Tota).

  • 2° Festival “Di Scena a Fasano 2010” dove ha vinto
    il Premio assegnato al Migliore Attore Protagonista (Enzo Tota).

  • 15.a Edizione “Teatro in Sala 2011” di Sala Consilina (SA) dove ha vinto
    1) il Premio assegnato dagli Spettatori e
    2) il Premioper la Migliore Scenografia.

  • 64° Festival Nazionale d’Arte Drammatica 2011 di Pesaro dove ha vinto il
    1) 2° premio assoluto.
    2) Roberto Lombardi riceve una menzione speciale come migliore attore non protagonista.
    Lo spettacolo riceve anche sei nomination: scenografia, commento musicale (Geppino Gentile), valenza etica, gradimento del pubblico, attore protagonista (Enzo Tota), regia (Marcello Andria).

  • 3° Festival Nazionale di Teatro Amatoriale “L’Ora del Teatro 2011” di Montecarlo (LU) dove
    1) ha vinto il Festival e
    2) il Premio dei Giovani.
    Nomination per la regia (Marcello Andria), per l’Attore Protagonista (Enzo Tota), il caratterista (Geppino Gentile), l’Attore Non Protagonista (Roberto Lombardi) e l’Attrice Non Protagonista (Anna Maria Fusco Girard).

  • 7° Festival Nazionale d’Arte Drammatica 2011 di Imperia dove ha vinto il
    1) Premio per il Migliore Attore Protagonista (Enzo Tota).
    Secondo classificato nel Gradimento del Pubblico.

  • Rassegna Mario Scarpetta 2011/2012 di Pagani dove ha vinto il
    1) Premio per il Migliore Attore Protagonista (Enzo Tota).

  • Rassegna AmatTori Insieme 2011/2012 di Gravina in Puglia doveha vinto il
    1) Premio per il Migliore Attore Protagonista (Enzo Tota).

  • 6° Festival Nazionale Camminando attraverso la voce di Milano dove ha vinto il
    1) Premio della Critica.
    2) Premio del Pubblico.
    3) Premio per il Migliore Attore Protagonista (Enzo Tota).
    4) Menzione speciale per Geppino Gentile.

Prima della PRIMA di Antonella Russoniello

Recensioni

Non è facile arrivare al Teatro 99 posti. Non è facile trovare qualcuno che dia indicazioni o conosca l’esistenza del teatro. Ma una volta arrivati la magia si realizza da sé e ci accoglie uno spazio in cui si sente l’amore per il teatro, la forza delle idee, la gioia di creare e offrire il prodotto del lavoro proprio e altrui. Spazio intimo, raccolto, ma non per questo minimale o povero. C’è tutto. Soprattutto c’è il teatro, la capacità di sospendere l’incredulità e far nascere il mondo da un pugno di arredi, luci, suoni, voci, corpi, anime.

Al centro della scena un tavolo rotondo di legno. Tre sedie, rivestite di raso a righe, sono disposte come ai tre vertici di un triangolo. A fare da sfondo, al centro, un pannello rettangolare, a monocromo rosso, a mimare forse un arazzo, o un paravento, con cavalli alati rampanti ai lati di una sorta di monogramma, fulcro di una composizione vegetale di gusto tra il liberty e il cinesizzante. Il resto dello spazio è delineato da un drappo cremisi, che fa da sfondo e quinta.
Banale la storia, da romanzetto d’appendice: lui, l’Avvocato Fabio Colli (Raul Apicella), separato da una donna che gli ha fatto torto, ha ingravidato Agata Renni (Giulia Sonetti), ragazza non più così giovane (26 anni…); per riparare allo scandalo il cugino di lui, Maurizio Setti (Roberto Lombardi), con l’approvazione della madre di lei (Anna Maria Fusco Girardi), propone di far sposare la ragazza ad un suo vecchio compagno di collegio, Angelo Baldovino (Enzo Tota), in modo da salvare le apparenze e dare un padre al bambino.

Banale storia, come tante, ma Pirandello utilizza il plot come punto di partenza per mettere a nudo, una volta di più, le maschere che ciascuno di noi indossa, in società e nei rapporti interpersonali. Qui ognuno mente, a se stesso e agli altri. Setti è untuoso e perbene, con i suoi abiti eleganti, con il cappello e la canna da passeggio, che poggia con disinvoltura sul tavolo, con la disinvoltura della persona di famiglia; decoro e opportunità potrebbero essere i suoi motti, infatti invita tutti alla moderazione: “C’è bisogno che il sentimento si contenga”. La madre di Agata è sobriamente elegante con il suo abito a fiori e la lunga collana di perle; anche lei una paladina del decoro, straziata tra il desiderio di gioia per la figlia (“a guardia di un delitto che tutta la natura consiglia”) e la necessità di salvare le apparenze. Non è importante la sostanza, ma la forma: “Fidavo che Fabio fosse più prudente”, se solo fosse stato più prudente, se solo, come si direbbe a Napoli, non avesse fatto il guaio, allora lei avrebbe continuato a chiudere gli occhi, a far finta di non vedere, “per non concedere apertamente, si finge di non vedere”.

Fabio è giovane, innamorato, inconsistente, ignorante, desidera Agata e la desidera soprattutto perché è sua, brama che ritorni ad essere sua. E Angelo Baldovino? non è un uomo onesto, lo dice lui stesso: la bestia, la fallacia umana, sono nel suo animo e nelle sue azioni non meno e forse più che in altri. Forma e sostanza, la forma in lui diventa la sostanza, l’essere stato scelto per rappresentare la parte del marito e del padre fa sì che quella maschera diventi reale, quasi più reale della persona, quella maschera diventa un abito e una camicia di Nesso, un dover essere da cui non si sfugge, anche a costo di far soffrire gli altri, anche a costo di soffrire. Dover essere. La problematica essere/apparire/dover essere è un tema ricorrente, insieme a quello realtà/finzione/apparenza. Proporzioni i cui termini sono ambiguamente interscambiabili, l’uno trascolorante nell’altro, l’uno diverso dall’altro, eppure in qualche modo tangenti.

Tutti in questo dramma devono essere qualcosa, tutti devono volere qualcosa, tutti devono accordare il loro essere e il loro volere, o almeno crederci, finché le due cose non coincidano. “Bisogna che voglia!”, afferma perentoriamente la signora Maddalena, la madre della ragazza. Agata deve volere questo matrimonio riparatore, non c’è altra strada. E deve volerlo anche Fabio Colli, che è un uomo, potrebbe ridersene dello scandalo e soprattutto, è separato da una moglie che gli ha fatto torto, avrebbe tutto il diritto, per la società, di trovare consolazione nell’amore di una ragazza. Tutto in nome del decoro. Squallido balletto di finzioni in nome del quale non importa la realtà, non importa la virtù, ma solo la sua apparenza, la sua recita, un’apoteosi del teatro come norma di vita. Perché senza il decoro, senza le apparenze, senza la sottile ipocrisia del vivere civile, “non resta altro che allargare le braccia, chiudere gli occhi e lasciare entrare la vergogna”.
Solo chi l’ha fatta entrare la vergogna, Angelo Baldovino, l’uomo abietto, l’uomo scivolato nell’abisso, può prescindere da questa rappresentazione, ma solo per entrarvi con maggiore consapevolezza e convinzione, caricato quasi del ruolo di deus ex machina. Lui, che doveva essere la pedina, il prestanome, il marito di comodo da allontanare con un pretesto appena possibile, si trova a dettare nuove leggi, a distribuire nuove parti di un nuovo copione, in cui al decoro si sostituisce la virtù, al volere si sostituisce il dovere, quasi un kantiano imperativo morale in cui essere e dover essere si fondono. A furia di crederci la finzione diventa realtà e chi potrebbe dimostrarci che la realtà sia più reale di una ben orchestrata finzione?

A cura di: Caterina Serena Martucci
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