In scena ci sono due donne: Ortensia, spettrale e nerovestita, e Margherita, solare e coloratissima. Sono due gemelle non monozigote, anzi così diverse da incarnare gli opposti archetipi della femminilità. Le due sorelle sono, però, accomunate da un’esilarante capacità di raccontarsi, di rappresentare-confessare gli episodi della propria vita. Ma non solo. Il romanzo di Margaret Mazzantini, adattato dalla compagnia teatrale il tè delle 4, procede in modo visionario e divertito fino a scoprire come la donna nera e la donna variopinta, la positiva e la negativa, sono le due facce della luna, i due aspetti dell’anima femminile della nostra contemporaneità. “Manola” è una storia in bilico tra botte di fortuna e scelte sbagliate, maghe silenti e carte nefaste, legami di sangue e affermazione di sé.
L’associazione culturale il tè delle 4, fondata da Sonia Guerriero, Chiara Mazza e Maria Vittoria Pellecchia, è attiva dal 2010. Rivolge la sua attenzione, in particolare, al teatro e alla drammaturgia contemporanea.
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Una grande tela dipinta di bianco. Il fondo è bianco e strizzando un pochino gli occhi si possono notare delle sottili striature trasversali, bianche. Fanny ha speso un capitale per averla, Catherine pensa sia una merda bianca e Claudette avanza inconsciamente la possibilità che dietro ci sia un pensiero. Tre donne, tre personalità differenti, tre stili di vita. Col pretesto di un quadro si scaglia su di loro, generando situazioni tanto feroci quanto esilaranti, le dieu du carnage.
Art prende di mira gli intellettuali metropolitani, quelli che sfoggiano cultura, che cercano continuamente di affermarsi attraverso un sistema di valori costituito e allo stesso tempo subìto; mette a nudo, con ironia, la natura umana, le sue dinamiche psicologiche, le sue bassezze e le pone in relazione con l’altro.
L’amicizia risulta strettamente confinante con invidia e individualismi, il rischio di sovrapposizioni è continuo e inevitabile. Andando oltre la tela balzano in scena crudeltà, doppiezze, falsità. La decadenza è inesorabile.
Alla base di tutti i rapporti c’è un demone: l’esigenza di dare un senso alla propria esistenza attraverso l’autoaffermazione. Ma in agguato c’è sempre lo spettro della solitudine. La riconciliazione, la riuscita di una relazione, non solo d’amicizia, sacrificano, forse, qualcosa che spesso si considera base necessaria di un legame: la sincerità.
Ma è davvero così? Cosa serve realmente per preservare un rapporto a cui teniamo? E se fosse la menzogna a venirci in aiuto?
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