“Rosa Nurzia” è l’attimo prima della fine. È un’esplosione bloccata, come in una foto, dove per vedere il seguito è necessario ascoltare.
NOTE DI REGIA
Dalle parole di Rosa dipende tutto.
Se non racconta, il suo mondo non può finire.
Se non racconta, non può accorgersi che il suo mondo è finito.
Rosa è immobile sulla sua sedia, fieramente barricata nell’unico spazio consentito al suo essere vecchia e definitivamente sola, ora che sua sorella Alma è partita. Entrare nella sua casa è come dare l’ultimo saluto a un mondo in decomposizione. È partecipare ad un funerale che lei tenta comicamente di rimandare: ricordando, aggrappandosi a un tempo che non esiste più, pronunciando sentenze ridicole e lapidarie su chiunque e su qualunque cosa le capiti a tiro, abbandonandosi a visioni mistiche e istinti profani.
Rosa ha una storia da raccontare con la sua lingua antica e forte e con il suo corpo incerto, nervoso, che non sa più rialzarsi da solo.
Una storia reale, privata, fatta di piccole cose, che fa ridere e che per questo fa male.
È il passato destinato a scomparire nella vaghezza del contemporaneo.
È l’immedesimazione di un vivo con un morto, di un corpo con un’anima.
È l’impossibilità di generare, evolvere, fiorire.
È la sfida di far entrare la forza della donna, nel corpo di un attore maschio.