E’ il primo studio di un progetto il cui focus è il punto di vista dello spettatore, protagonista nella dialettica tra immagine e sguardo, dove la risultante va oltre il linguaggio, amplifica e modifica l’azione, dona forma poetica all’attenzione.
Si tratta di dare un’area espansa allo spettatore, un rovesciamento di senso e di ruolo, con il compito di ospite interno, dove il destino di uno collima col destino di molti, e quindi da intendersi assoggettato al destino del mondo (James Hillmann). Così l’immagine rimane dentro fin dopo il suo dissolvimento e nel corpo rappresentato si ritrova la sintesi della propria soggettività, come in uno specchio deformante dove ci si riconosce nel corpo dell’altro che altro non è che il riflesso di se’ nel proprio immaginario.
Il progetto nasce come sequel de Il Canto di Orfeo, nella visione letteraria di Cesare Pavese, L’inconsolabile, dai Dialoghi con Leucò (1947), per esprimere il dramma di Orfeo che ha ben compreso come la morte di Euridice rappresenti il definitivo concludersi di un’epoca. Riportarla in vita non ha alcun senso, perché quanto è perduto lo è per sempre. Per questo Orfeo scelse di voltarsi, quando già intravedeva il barlume del giorno. Spunto questo per una riflessione sull’amore al di là del genere.