Cast

  • Autori: Francesco e Gianni Di Nardo
  • Regia: Gianni Di Nardo
  • Illustrazioni: Maria Teresa Sarno
  • Produzione: Co.C.I.S. / Teatro 99 Posti

Interpreti

  • Francesco Di Nardo: Francesco
  • Gianni Di Nardo: Gianni

Sinossi

Francesco ha solo diciannove anni quando si arruola volontario per la guerra, non sa cosa lo aspetta, non sa che così scoprirà la crudeltà e la follia dell’uomo. Quando arriva l’armistizio dell’otto settembre, Francesco, come tanti soldati italiani, si trova, all’improvviso, al di là delle linee nemiche. I tedeschi lo catturano e lo deportano in Germania. Diventa un IMI, uno schiavo di guerra, vilipeso, denutrito, venduto ogni giorno -in una nazione che odia gli Italiani ritenendoli traditori- a chi ha bisogno del lavoro delle sue braccia. Sopravvive per due anni in condizioni estreme ma, quando gli chiedono di entrare nelle schiere di Salò e poter tornare così in Italia, si rifiuta e preferisce il campo, il lager, alla farsa ormai palese ai suoi occhi del fascismo, nonostante la fame perenne, il freddo e la paura di morire.

La vicenda di Francesco prosegue. Il racconto del testimone, sul palco, si intreccia con un nuovo viaggio, la strada ripercorsa settanta anni dopo insieme a suo figlio, Gianni, che lo accompagna lungo i luoghi della sua memoria, una memoria dolorosa, a volte, e, a volte, candida, animata ancora dall’innocenza giovanile.

Gianni e Francesco viaggiano insieme, lo scopo sembrerebbe quello di intessere di nuovo i fili dei ricordi, di un’esperienza estrema che rischierebbe di dissolversi se non fosse fissata dalle immagini; eppure questo viaggio ha un duplice significato perché segna anche per il figlio un punto di svolta, la presa di coscienza di aver capito davvero, di aver trovato un dialogo profondo e diverso con Francesco, al di là dei legami di sangue, da uomo a uomo, da essere umano a essere umano.

Francesco tornerà dalla guerra con in testa una parola: democrazia, e con la curiosità di sperimentarla finalmente. Padre e figlio attraverseranno il muro del tempo a ritroso, minuziosamente e con ostinazione, e faranno ritorno insieme.

Se la letteratura e il teatro sono testimonianza, questa funzione è assolta, una tela tessuta a quattro mani che trova i suoi intoppi per poi procedere, invece, verso la “verità”, un atto d’amore completo di un figlio verso suo padre, una prova di come gli uomini possano cambiare, diventare migliori e, seppure fra mille difficoltà, rimanere puri e non farsi sporcare dall’oscenità e dal delirio della guerra.

Galleria Fotografica

IL VIDEO di Maurizio Picariello

Prima della PRIMA di Antonella Russoniello

Recensioni

Il teatro e la memoria. Al Teatro 99 posti di Avellino va in scena Diario di viaggi, spettacolo sui generis che trasforma il teatro da luogo della rappresentazione in luogo della narrazione.
Ad aprire la scena, occupando inattesi l’assito, i Tammuriarè, musici popolari che fungono da preludio a ritmo di folklore e che col loro intervento sovvertono la ritualità del teatro.

Ma non è l’unico sovvertimento: una volta sopitasi l’eco di castagnette e tammorre, a guadagnare il palco non sono attori preposti a sostenere una parte, foss’anche una lettura drammatizzata; a guadagnare il palco sono due uomini, uno sì attore e regista – Gianni Di Nardo – ma che attore cessa di essere per due ore, “trasformandosi” in se stesso che legge un diario di viaggio; l’altro il di lui padre, Francesco, portatore sano e lucido di memoria. Nemmeno l’anziano genitore sostiene una parte; semplicemente: racconta. Comodamente assiso in una poltrona sul palco, rischiarato da calda luce, con rigorosa minuzia offre regesto della propria esperienza di guerra e di deportazione. Occupa egli un lato della scena, ma è come se si trovasse dinanzi ad un raccolto focolare ad ingannar col calore della rimembranza l’inverno ed il tempo.
Nel mezzo un telo bianco s’accende della proiezione d’immagini, resoconto filmato dai connotati artigianali del viaggio a ritroso sulle tracce della memoria che padre e figlio hanno effettuato alla ricerca di testimonianze e residuati di quanto ancora impresso, scolpito nella mente di un reduce di guerra. Un uomo partito volontario dall’Irpinia, passato dalla guerra sul fronte jugoslavo alla deportazione in Germania dopo l’8 settembre del ‘43.
La narrazione procede lungo due binari paralleli, quello del ricordo e quello del ritorno: da un lato i ricordi di Francesco sono ripercorsi con dovizia di particolari, snocciolati con una precisione così dettagliata da farli apparir cosa ancora viva e contemporanea, a dispetto della coltre del tempo minacciosa d’oblio; dall’altro lato l’evanescenza delle tracce residuali di un passato che tende a sfumare, come se il presente ne avesse inghiottito la memoria.
E così ben poco dell’oggi coincide al ricordo di ieri, e non solo perché Fiume nel frattempo è diventata Rijeka, non solo perché i dintorni di Hannover sono mutati radicalmente d’aspetto. Per quanto nitida e vivida è l’impressione rimasta nella mente e negli occhi di Francesco a distanza di quasi tre quarti di secolo, altrettanto nebulosa e sfumata è la possibilità di riscontrare tracce concrete: casette graziose col tetto a spiovente sorgono ora dove un tempo s’acquartieravano i casermoni d’un campo di concentramento tedesco.
Il racconto di Francesco ha toni lievi anche quando narra delle immancabili crudezze della guerra, appare venato del disincanto malinconico della gioventù, riempito degli episodi attraverso i quali un ragazzo s’è dovuto in fretta far uomo, conoscendo l’umanità e il mondo nel più scabroso dei frangenti, quando la condivisione d’un tozzo di pane raffermo finiva per legare indissolubilmente un uomo ad un uomo.
Risulta difficile parlare di “teatro” in senso stretto, se non per il luogo che accoglie Diario di viaggi. Se proprio dovessimo sforzarci di coniar locuzione acconcia, ci piacerebbe definir questa narrazione da focolare, delicata e dignitosa testimonianza di vita, “teatro informale”, raccontato da un palco da chi attore non è né s’è sforzato di essere, ma semplicemente ha raccontato di sé.
Viaggio e memoria prendono corpo, si sostanziano, l’evocazione sublima il passato derubricandolo in esperienza di vita; le parole di Virgilio, dall’Eneide, a chiosa finale: “Forse un giorno sarà dolce ricordare anche questo”.

A cura di: Michele Di Donato
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